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PER RIFLETTERE INSIEME

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PER RIFLETTERE INSIEME

Quando il mio bambino piange...

Come i bambini ed i vecchi si mise a piangere senza sapere il perché, di dolore chera gioia, di gioia chera dolore

(G. Deledda)

 

 

 

Quando il mio bimbo piange penso abbia un problema. A volte il suo pianto è difficile da decifrare, lo è stato soprattutto all’inizio. Penso pianga per qualche malessere fisico: ha fame, ha le coliche, ha mal di orecchie.

Quando il mio bimbo piange a lungo, è dura! Nella mia testa si affollano tante domande: perché piange? Perché sta male? Cosa posso fare per farlo smettere?

Quando il mio bimbo piange non lo fa solo perchè non sta bene o ha fame. A volte ho l’impressione non sappia nemmeno lui perché piange! Forse vuole solo starmi vicino, sentire la mia voce, essere accarezzato e guardato.

 

 

Sfogliando un libro, ho trovato questa frase: “...con le sue lacrime il neonato lancia un messaggio, formula una domanda” (Vegetti Finzi).

Ho provato a smettere di chiedermi perché piange? e a domandarmi: cosa mi sta dicendo?

Quando mi chiedo perché? tendo a cercare la risposta: quella unica, generale, corretta. Una domanda, una risposta.

 

 

Ma se mi chiedo cosa mi sta dicendo?  tendo a cambiare prospettiva, a cercare una risposta che sia calibrata sul mio bambino, su di me, su ciò che sta accadendo. Un vestito su misura.

Se me lo chiedo, è necessario che faccia qualcosa prima di rispondere: devo provare ad accogliere il dolore del mio bambino, la sua rabbia, la sua angoscia senza nome. Devo cercare di sentirli dentro di me. Devo cercare di decifrare e dare significato ai messaggi con cui cerca di trasmettermi bisogni ed emozioni. E solo a questo punto fare qualcosa.

 

 

E così, giorno dopo giorno, lacrima dopo lacrima, sto imparando ad accogliere il mio bambino che ha fame, si sente molto sporco, ha male da qualche parte, desidera essere preso in braccio, accettato nel suo pretendere carezze e attenzione. Sto imparando a riconoscere tutto ciò che lui prova. Lo capisco sempre di più.

E mi sembra che più lo capisco, più sia facile consolarlo.

E credo che essere capito sia qualcosa di molto bello e gioioso anche per lui, anche se è così piccolo. Che da qualche parte e in qualche suo modo comprenda che se qualcosa non va può piangere, arriverò, condivideremo il dispiacere, capirò per lui e insieme ce la faremo!

 

 Claudia Porro

 



 

 

E così, giorno dopo giorno, lacrima dopo lacrima, sto imparando ad accogliere il mio bambino,

sto imparando a riconoscere tutto ciò che lui prova. 

E mi sembra che più lo capisco, più sia facile consolarlo.

 

 

Febbraio, tempo di valutazioni

 

Nel mese di febbraio in tutte le scuole sono consegnate le temute schede di valutazione. Non si può  nascondere, che per quanto un alunno vada bene a scuola, il momento metta una certa ansia. Il bambino si chiede se sia stato veramente adeguato, o se sul giudizio incida negativamente quell’unica volta in cui non ha fatto la verifica perfetta, oppure se ancora una volta risulterà evidente che è uno scarso, il genitore teme che l’insegnante, attraverso il giudizio del figlio, giudichi il suo operato di padre e madre, il docente a sua volta cerca di attenersi il più possibile alle regole e alla oggettività per la paura di essere attaccato o addirittura denunciato.
Di seguito tre punti di vista nei quali i giudizi di valutazione sono un’occasione per un momento di riflessione e di crescita.

 


Diario di una maestra

Questo per gli insegnanti è un periodo di pagelle, scrutini e valutazioni.
È un periodo di tensioni e di lavoro molto intenso. All’inizio della mia carriera vivevo la scadenza delle pagelle con molta ansia. Con il tempo ho imparato a guardare a questo momento come ad un’occasione estremamente arricchente e stimolante.
Le valutazioni sono delle vere opportunità  per guardare i propri alunni. Nel tentativo di dire per ognuno di loro ciò che li caratterizza, non soltanto dal punto vista dell’apprendimento, scopro qualcosa di loro, di me e loro insieme. Scopro il loro percorso di crescita, il loro modo di essere, il loro modo di porsi e di restituirmi qualcosa di loro. Questo è l’aspetto che più mi piace dello scrivere i giudizi di ciascuno dei miei alunni. Nella tranquillità della mia casa mi ritrovo a pensare ad ognuno di loro e scrivo ciò che ho nella mente e nel cuore. Lascio che le parole possano immortalare, come in una fotografia, l’essenza di questi bimbi, per quello che mi hanno potuto far vedere, per quello che abbiamo potuto condividere in questo pezzettino di strada fatto insieme. Mi sento soddisfatta quando nel rileggerli ritrovo proprio quel bambino o quella bambina. In questo momento tocco con mano quanto l’apprendimento e l’insegnamento ruotino e dipendano dallo sguardo educativo che ho sui miei allievi.
E ancora i giudizi diventano un’ occasione anche per confrontarmi con i miei colleghi e non solo... Condivido infatti questo sguardo soprattutto con i genitori, facendo diventare anche per loro il momento delle pagelle un’occasione per guardare con occhi nuovi i propri figli, al di là del rendimento.

Nunzia Esposito


Una mamma racconta

Seguiamo i nostri figli quotidianamente, di loro sappiamo tutto, su di loro abbiamo uno sguardo d’amore così attento che nessun altro mai avrà.
Eppure temiamo tantissimo il voto su di loro, come se quel voto fosse anche un po’ nostro. “Dovevo seguirlo di più?” “Dovevo metterlo in punizione e farlo studiare di più?”
Quando nostro figlio è nato, si è compiuta una magia: abbiamo dato vita ad un essere umano separato da noi, ma il legame è sempre talmente forte che spesso ci dimentichiamo di questa separazione. Capirlo subito dopo la nascita è impossibile sia per noi che per il nostro bambino, e allora su questa separazione dobbiamo piano piano lavorare per comprenderla, costruirla, digerirla. Prima o poi arriva il momento in cui capiamo che questa separazione è reale e lo dobbiamo capire noi genitori per primi.
Solo così i nostri figli si sentiranno liberi di volare. Verso esperienze o occasioni perse, gioie o fallimenti, verso un percorso che sarà solo il loro.

Mia figlia l’altra sera non riusciva a dormire. Era preoccupata per la pagella. “Mamma, lo so che chiacchiero e sono distratta. Ho paura di avere un brutto voto in condotta”.
Sono la sua mamma, non ho bisogno di leggere una pagella per sapere chi è. Nella pagella leggerò come stanno andando le sue esperienze, cosa l’appassiona, cosa le crea problemi. La leggerò come se fosse il racconto delle esperienze che la stanno facendo crescere. Mi preparo come ci si prepara ad un incontro.
Non sono preoccupata, non vedo l’ora!

Patrizia Casagrande



Valutare, cioè dare valore

Nel mese di febbraio sono consegnati dagli insegnanti i giudizi di valutazione di fine quadrimestre, gioie e dolori per alunni e genitori. All’interno delle famiglie, sono vissuti frequentemente come giudizi definitori della persona. Mio figlio “è” quel brutto voto e tutto il contenuto del dialogo e del rapporto si riduce a come riuscire a venir fuori da questa situazione. Si possono così ingenerare situazioni di esasperato controllo, di rabbia, di senso di frustrazione e, da parte del ragazzo, di disistima, di sotterfugi, di noia.
Pensare che fin da piccolo il bambino chiede insistentemente di essere valutato! Ricordiamoci le volte che con grande soddisfazione ci ha regalato un suo disegno fatto di ghirigori colorati aspettandosi il nostro commento: “Che bello, ma che cos’è?” E quando lui o lei ci rispondeva: “Sei tu, mamma”, il nostro grazie sincero e commosso lo rendeva pieno d’orgoglio. O proviamo a farci tornare in mente quando ancora traballante sulle gambe, provava a fare quei piccoli salti che non lo facevano neanche alzare da terra eppure ci chiamava con insistenza: “Mamma, papà, guarda, guarda.” In quei momenti i nostri figli chiedevano davvero di essere valutati cioè, come esplicita l’origine della parola, che noi dessimo loro valore.
Ma forse mi potrete obiettare: cosa c’entra tutto questo con i voti? Il pensiero comune ci mette in mente l’idea che se uno va male a scuola deve studiare, recuperare, altrimenti nel mondo diventerà un perdente!
Mille e mille pensieri si muovono intorno al rendimento scolastico, dal desiderio di perfezione del proprio figlio (in questa verifica non ha preso dieci come al solito, come è possibile?), di confronto e invidia verso i figli degli altri (perché al tuo compagno ha dato un voto più alto che ha fatto il tuo stesso numero di errori?),  di giustificazione (mio figlio è dsa e non gli è stata data la verifica differenziata), di rabbia verso il figlio (sei sempre davanti alla tele, adesso la spengo per due mesi!) e chi più ne ha più ne metta!
In effetti sono tutti pensieri che possono avere il loro perché, ma ciò che sta stretto è che diventino una misura in cui imprigionare i nostri figli che sono molto, molto di più di una performance scolastica! Ogni bambino infatti ha doti e fragilità, l’avventura entusiasmante del rapporto educativo è proprio quella di scoprire i loro semi conservati nel profondo, anche se a volte sono sotterrati da quantità importanti di terra!
Questo sguardo è ciò che permette di non essere reattivi di fronte alle valutazioni scolastiche, ma di affrontare le fragilità dei bambini trovando per ognuno di loro  la strada migliore.

Maria Petitti


 

 

In quei momenti i nostri figli chiedevano davvero di essere valutati

cioè, come esplicita l’origine della parola, che noi dessimo loro valore.

 

 

Perchè il lupo cattivo deve morire

“Carolina, forza, adesso è proprio ora di dormire, è tardissimo!”

“Mamma, no, io ho paura!”

“Ma di cosa hai paura? Non vedi che non c’è nessuno?”

“Io ho paura, non voglio dormire!”

Tante volte ho ascoltato racconti di questo tipo da mamme disperate! Non riuscivano a convincere i propri figli che la loro paura non aveva un fondamento razionale.

Ed è proprio questo, trovo, l’errore di fondo nell’approccio delle paure dei bambini piccoli: pensare di convincerli con dei ragionamenti.

A un bambino non serve rendersi conto che con la luce accesa non si vede nessuno, perché il buio porta con sé la possibilità della presenza di mostri inimmaginabili nascosti tra le ombre!

A un bambino non serve sentirsi dire che le finestre sono ben chiuse, perché i mostri hanno poteri eccezionali! A un bambino non serve sapere che i mostri non esistono, perché loro sono molto furbi e si fanno vedere solo quando i grandi non ci sono!

Come aiutare allora i nostri piccoli bambini a non soccombere di fronte a queste paure che sembrano autoalimentarsi, diventando sempre più angoscianti?

Trovo che l’aiuto che possa dare l’adulto debba partire da un rispetto, da una accettazione di base: non cerco di convincerti che non ha senso avere paura, ma ti do gli strumenti per affrontarla e sconfiggerla.

Secondo quest’ottica credo che siano un aiuto prezioso le storie classiche in cui il cattivo è ben identificato come cattivo e, al termine di un’avventura impegnativa, è definitivamente sconfitto.

Un esempio fra tanti può essere "Il lupo e i sette capretti” dei fratelli Grimm. Il lupo, dimostrandosi molto furbo, riesce a mangiare tutti i capretti tranne uno, che racconta alla mamma che cosa è successo. La mamma (l’adulto) taglia la pancia del lupo e salva i fratellini, ma sono loro stessi a cercare e mettere nella pancia al loro posto le pietre che faranno affondare il lupo senza possibilità di salvezza.

Una bambina di circa cinque anni, Elena, a cui ho raccontato la storia terminandola con la morte del lupo mi ha detto indispettita: “La storia non è finita.” 

“Perché, che cosa manca?” ho chiesto io. “E vissero per sempre felici e contenti!” 

Ecco, aveva bisogno di sentirsi dire che i capretti, con l’aiuto della mamma, avevano sconfitto per sempre il lupo cattivo che non si è mai più ripresentato.

Di questo hanno bisogno i bambini: il cattivo è cattivo e si merita di essere sconfitto per sempre, così da non minacciarli più.

Se il lupo diventa buono, come purtroppo capita in molti racconti moderni, rimane sempre un ultimo dubbio esplicitato nel famoso detto popolare: il lupo perde il pelo ma non il vizio!

Nella mia lunga carriera di madre, maestra e consulente pedagogica ho assistito a moltissime scene di uccisione di lupi immaginari, che per i bambini erano realissimi: c’è stato chi li ha buttati fuori dalla finestra, chi li ha schiacciati sotto i piedi, chi li ha affogati nel water, chi li ha chiusi in sacchi emetici triturati dal camion della spazzatura....

Questa battaglia, che li ha visti vittoriosi, ha portato loro un sollievo immediato e ai genitori la possibilità di condividere un passaggio importante di crescita.

Mi piace concludere con questa considerazione di Bruno Bettheleim, psicoanalista che all’analisi delle fiabe ha dedicato un bellissimo libro: “Il mondo incantato”

Se la nostra paura di essere divorati assume la forma tangibile di una strega, è possibile sbarazzarsene bruciandola nel forno!”

 

Maria Petitti di Roreto

 

 

 

 

 

 

 

Ed è proprio questo, trovo, l’errore di fondo

nell’approccio delle paure dei bambini piccoli:

pensare di convincerli con dei ragionamenti.

 

 

La copertina (di Linus). I compagni inseparabili dei nostri bambini.


L’immagine di Linus con la sua copertina credo abbia accompagnato la maggior parte di noi mentre eravamo ragazzi, poi adulti e infine genitori e nonni. I personaggi del fumetto creato da Charles Schulz negli anni ‘50, tra cui Linus, sono buffi, simpatici dispensatori di massime di saggezza.
Linus con la sua inseparabile copertina, che ha attraversato generazioni e continuerà a farlo, ci parla di una parte di noi viva, palpitante, tenera e fragile.


Ma che cosa è l’inseparabile copertina del personaggio di Shulz? Linus la definisce uno strumento “di sicurezza”, un oggetto preferito e insostituibile che dà coraggio, consola, tiene compagnia, lenisce le paure.
I genitori comprendono di solito intuitivamente l’importanza di quel brandello di copertina, dell’orsacchiotto spelacchiato, dell’orlo del lenzuolino o di altri oggetti scelti dal bambino in un certo periodo della sua vita e dai quali non si separa volentieri. Sono gli insostituibili compagni soprattutto nel momento del sonno, del distacco dalla mamma, che hanno un potere calmante e ai quali il bambino fa ricorso per rilassarsi e addormentarsi. Non si tratta mai di uno dei più moderni giochi tanto pubblicizzati e costosi, piuttosto qualcosa che, all’occhio dell’adulto, appare spesso insignificante. E che è anche a volte sporco, perché viene portato ovunque, e, con grande disappunto dei genitori preoccupati dai probabili germi, a volte succhiato o comunque tenuto vicino alla bocca. Sono oggetti, per lo più morbidi, che entrano a far parte del corredo del bambino e gli stanno vicini quando succhia al seno, quando è cullato dalle braccia della mamma, assorbendo gli odori sia della mamma sia del bambino stesso. Diventa così una rassicurante presenza perché ricrea intorno al bambino un ambiente ben conosciuto, testimone delle cure amorevoli della sua famiglia. Queste funzioni continuano ad essere svolte anche quando il bambino cresce e partecipano a questo delicato e meraviglioso processo. Così come il pollice permette al bambino di rassicurarsi nei momenti in cui vorrebbe il latte e la vicinanza della mamma, anche l'orsetto o la copertina permettono al bambino di tollerare la solitudine e l'attesa.
D. W. Winnicott, pediatra e psicoanalista, ha chiamato questi compagni “oggetti transizionali”. Winnicott è stato uno psicoanalista davvero speciale perché è arrivato alla psicoanalisi partendo dalla pediatria, cioè dopo aver incontrato nel suo ambulatorio centinaia di mamme con i loro bambini. Quindi sui bambini la sapeva sicuramente lunga. Possiamo perciò stare tranquilli vista la concordanza tra l'intuito innato dei genitori e il pensiero di uno studioso di così profonda esperienza. Cosa ci dice Winnicott sull'oggetto transizionale? Molte cose, però qui possiamo limitarci a ricordare che il bambino sembra collocarlo in una zona intermedia tra se stesso e la madre, nel momento in cui inizia la differenziazione. Questo oggetto non fa più parte del corpo del bambino ma nello stesso tempo non è completamente riconosciuto come realtà esterna. La sua comparsa testimonia l’inizio della capacità del bambino di accettare di venire a patti con l’illusione di essere il creatore di tutto ciò di cui ha bisogno, ad accettare quindi l’attesa, la frustrazione e, infine, sperimentare la gratitudine. Processo che non si risolve certo nei primi anni, ma che ci impegna come esseri umani tutta la vita.
Quindi, mamme e papà, trattiamo con rispetto e attenzione l’oggetto transizionale di nostro figlio, non cerchiamo di imporre la nostra scelta, perché quella del bambino non è guidata dall’estetica o dalla funzione, ma da un istinto che a volte per noi è sconosciuto. Ricordiamo che possedere un oggetto con queste caratteristiche non solo non è un problema ma, anzi, può essere una valida risorsa nell’arduo compito di crescere. Lasciamo che il nostro bambino dorma con il suo orsetto, accettando qualche deroga all’igiene, permettendo che lo accompagni nei primi giorni al nido, lasciando poi alle educatrici decidere in base alla loro esperienza quando potrà lasciarlo. E se invece il bambino non ha un oggetto transizionale non preoccupiamoci, non cerchiamo di imporne la presenza.
Forse, a questo punto, abbiamo intuito che questa zona di mezzo è un territorio dove si incrociano il gioco, la fantasia e la condivisione degli stessi, dove prendono vita i misteriosi fenomeni dell’immaginazione creativa della nostra mente.

 

Quando la copertina diventa opera d’arte
Riflettendo sull'oggetto transizionale e sui suoi nessi con la creatività, vorrei raccontare di alcune "copertine" che mi hanno molto colpita, quelle create dall'artista Sean Scully ed esposte nella mostra che Villa Panza ha ospitato fino al 6 gennaio 2020.
https://www.fondoambiente.it/long-light-sean-scully-a-villa-panza
Scully, nato in Irlanda nel 1945, a 4 anni emigra con la sua famiglia in Inghilterra. Sarà questa esperienza, il viaggio in nave, al freddo, in cui la madre cerca di scaldarlo avvolgendolo in una copertina, a ispirare la serie di opere presenti a Villa Panza denominate Passenger Line. Pensando all’oggetto transizionale possiamo immaginare (anche se è solo una supposizione) come quella copertina possa essere stata un vero e proprio conforto, in un momento forse carico di paure e, probabilmente, anche difficile per la sua famiglia. Possiamo immaginare il clima di nostalgia, di preoccupazione per il futuro, unito magari alla speranza per il futuro in cui erano immersi. Del piccolo Sean, avvolto nella calda copertina della mamma, oggi sopravvive sicuramente la forza dell’immaginazione e della capacità creativa, che gli ha permesso di diventare un importante artista. Quella forza che tutti possediamo, anche se non siamo artisti, che ci permette di guardare alla vita e al mondo con sguardo nostro, di trovare le nostre soluzioni, e di godere di tutte le forme artistiche che altri hanno espresso.

Sabina Dal Pra' Nielsen

 

 

 


 

 

 

 

 

Gli insostituibili compagni dei bambini che consolano,
danno coraggio, leniscono le paure.le paure.

 

 

 

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